mercoledì 16 maggio 2018

Lagioia ti amiamo - #SalTO18



Anche io sono stata al Salone del Libro
Come l'anno scorso e l'anno prima ancora e quello ancora prima-prima. 
La cosa incredibile è che quest'anno vi sto parlando del mio quarto Salone con un tempismo considerevolmente dignitoso. 
Per questo mi piacerebbe ricevere un enorme battimani, ma anche un gruppetto di cheerleader saltellanti sarebbe ben accetto. 
Frenetico, stanco, bello. 
Ve lo descriverei così, con qualche aggettivo striminzito, e saremmo a posto. 
Però come sempre c'è di più ed è risaputo che fatico assai nell'essere stringata. Indi per cui...

Anche quest'anno ho pascolato solo una mezza giornata al Lingotto con un fogliettino molto carino in cui mi sono appuntata giusto una settimanella prima i cinque (o forse quattro) incontri ai quali avrei voluto tanto, tanto assistere. (Davvero, tanto.)
Ma, ingenuamente, mi è sfuggito un aspetto importante: il sabato è un giorno davvero speciale. 
Prima della domenica, dopo il venerdì. Inizio del weekend, preludio della sua fine (e dire che a ventitrè anni suonati si dovrebbe essere consapevoli della suddivisione globale temporale).  
Le code per gli eventi rasentavano la disumanità, la fiumana di gente che gironzolava colma di sacchettini e sportine di tela mi ha spesso fatto vacillare, fisicamente parlando. 
Probabilmente ho preso più gomitate di un giocatore di rugby in un campionato intero, ma il Salone è bello. 

Non importa che tu sia alta meno di un metro e sessanta e qualcuno ti scambi per uno sgabellino mentre spulcia tra gli Adelphi: tu vuoi i Diari di Sylvia Plath e gli scoverai comunque. 
Non importa se stai in fila per un'ora con la vana speranza di assistere all'intervento di Burioni: farai spallucce e ti allontanerai dignitosamente quando sarai la centoduesima personcina fuori dalla porta e non potrai entrare perchè la sala contiene solo cento posti. 
Sempre dignitosamente ti mangerai un panino tentando di non addormentarti con un pezzo di avocado in bocca (sì, l'avocado nel panino) in un angolino casuale, di un qualche padiglione lontano. 
Quando i piedi scricchioleranno ad ogni passettino e il tuo rachide implorerà pietà in almeno ottanta lingue differenti, tu vorrai andare ancora alla minimum fax perchè ci sono le spillette colorate con scritto My weekend is all booked. 
In tutto ciò difficilmente sarai solo, perchè al Salone non si va quasi mai soli, ci si porta appresso un po' tutti evidentemente (amici, parenti, amici degli amici e vicini di casa). 
Ammesso poi che veramente si voglia provare l'esperienza zen del Salone per ritrovare sè stessi, senza sentirsi in colpa ogni qualvolta ci si ancori ad uno stand di una qualche casa editrice sconosciura ai più, la verità è che: non sarai mai veramente solo.
Come potresti? Sei circondato da storie belle, bellissime e soprattutto da persone che sono disposte a raccontartele. Se sei fortunato puoi scovare Lagioia entusiasta da qualche parte, presissimo dai suoi discorsi sul suo Salone ricordando a tutti che è qualcosa di vivo, tutto nostro, e che va oltre le barriere architettoniche. Se hai pazienza puoi assistere ad incontri con autori immensi e discussioni su tematiche importanti.
Quando mai ti ricapiterà di poter respirare così tanta carta in una volta sola?
Sì, ci sono tantissime fiere del libro in Italia, lo sappiamo tutti. Ma la verità è che a Torino ci sentiamo un po' speciali ed il nostro Salone è qualcosa di grandissimo. 
Quindi, non mi importa se mi vengono le vesciche ai piedi, se non ho più elettroliti in corpo a fine giornata. Ho un'occasione l'anno per la mia timidezza agli stand, per gli espositori che mi sorridono, entusiasti del loro catalogo, per massacrare il mio nuovo compagno di avventure, per Lagioia che ama tutto e tutti e noi che amiamo tanto lui.
Torino ti ringrazia.
 Ci vediamo l'anno prossimo, Salone.

Con affetto
Claudia 

mercoledì 11 aprile 2018

Yates, larve da pesca ed Easter Parade


Easter Parade è stato il mio primo Yates.
Io ed il carissimo Richard ci siamo incontrati in una timida e tiepida giornata primaverile, davanti ad un camino ancora acceso.
Di lui ho apprezzato da subito la sagacia, l'ironia e, perchè no, anche gli implacabili giudizi sulla debolezza umana - e fidatevi che sono stati davvero molti, difficili da mandar giù talvolta.

Considerato un capolavoro alla pari di Revolutionary Road, Easter Parade è una saga familiare eccezionale.
Sarah e Emily sono due sorelle caratterialmente molto differenti, la prima più solare e convenzionale, l'altra più chiusa e indipendente.
La penna di Yates ritrae le loro esistenze borghesi sullo sfondo di un'America spogliata del suo sentimentalismo ottimista, abbracciando i loro destini per quasi cinquant'anni.
Figlie di genitori divorziati, cercano in tutti i modi di sottrarsi alla mediocrità a cui sembrano destinate per nascita, aspirando ad una felicità difficile da identificare quanto da ottenere.
Né l'una né l'altra delle sorelle Grimes avrebbe avuto una vita felice, e a ripensarci si aveva l'impressione che i guai fossero cominciati con il divorzio dei loro genitori. [...]
Yates è spietato con le persone che ingannano sè stesse e gli altri; non lascia via di scampo o possibilità di riscossa ai suoi personaggi; li lascia in balia di occasioni di felicità non colte, scelte sbagliate ed un destino che sembra essere influenzato pesantemente dal loro vissuto familiare.
Non c'è spazio per quel romanticismo gioioso tanto caro alla propaganda statunitense, ma piuttosto tra le pagine si respira una visione essenzialmente negativa del genere umano.

I riferimenti autobiografici sono molti: Yates dichiarò di essere una delle sorelle Grimes e nominò la madre delle due ragazze Pookie, cambiando solo una lettera di Dookie - nomignolo con cui sua madre Ruth si faceva chiamare dai figli.
I temi costanti del divorzio, dell'alcolismo e della famiglia come nucleo soffocante sono frutto di un processo di abreazione.
Nella sua letteratura dei particolari curati, dei riferimenti fini - come direbbe Pookie ogni dettaglio è una chiave di lettura importante. Il cartello che mette in vendita Blood and sand worms* (larve da pesca) - presente per ben due volte nel romanzo - non è una semplice minuziosità volta a ricamare il testo, bensì una metafora vitale.
La famiglia è infatti per Yates un'entità contorta, vermicolare, sotterranea, claustrofobica.
Una claustrofobia che ricorda a tratti Kafka e che accompagna il lettore fino alla fine.
Da qui la chiusura maestrale:
[...] ti va di venire dentro a conoscere la famiglia?
E cosa importa del tuo Problema del Tetro Fine, Yates, delle vite incocludenti, autoconservative, egoiste a tratti, della frivolezza umana.
Sprofondiamo insieme in questa tranquilla disperazione.
Non vedo l'ora del prossimo caffè insieme (decaffeinato possibilmente).


con affetto,
Claudia 
(*Larve e lombrichi)

 La colonna sonora della mia lettura 
(#notedicarta)
Walk on the Wild Side, Lou Reed
Walk like an Egyptian, The Bangles
Suffragette City, David Bowie

domenica 7 gennaio 2018

Tempo che prendi, tempo che vai


Tempo di bilanci.
Abbiamo un po' tutti questa tendenza a fine anno: ci si mette da qualche parte, in un angolino rassicurante della casa, si fissa fuori dalla finestra (meglio se durante una giornata un poco uggiosa) e si pensa, si prova a fare ordine, si cerca di capire.

Stockholm, gennaio 2018
Ci sono anni che scorrono in sordina, che ti lasciano poco, tra normalissimi alti e bassi, giorni più felici e giorni più cupi, di cui probabilmente non ricorderemo poi molto.
Poi ci sono gli anni intensi, complessi, cazzuti, i migliori.
Il mio duemiladiciassette è stato uno di quest'ultimi.
Ha concluso un ciclo della mia vita importante, ha segnato definitivamente la mia fanciullezza e mi ha fatto sentire davvero donna.

Fin troppo veloce sotto alcuni aspetti, ed immensamente dilatato sotto altri.


Questi trecentosessantacinque giorni mi hanno regalato molto, più di quanto pensassi di meritare.
Esperienze umane importanti, viaggi, successi ed amicizie intramontabili.
Ci sono stati giorni che mi hanno messo duramente alla prova, che ho odiato con tutta me stessa fino a che non mi sono resa conto che io posso tutto, perchè non mollo, perchè se devo, se sono con le spalle al muro, io la montagna me la sposto anche da sola.

Se dovessi scegliere una parola emblematica per tutto questo sarebbe sicuramente imprevedibilità.
Ed è proprio per questo che non mi sento più di stilare liste dei buoni propositi, fissarmi troppi obiettivi. Noi mutiamo fluidamente giorno per giorno, oggi sono io a scrivervi, ma domani potrei sentirmi già qualcuno di completamente diverso.
 
Qualche consiglio alla me del futuro però voglio darlo.

Goditi il tuo presente, circondati di parole ed inchiostro, di libri che profumano di inizi, di letture che soffiano vite nuove; ama ciò che sei ed ama ciò che fai; conserva i tuoi ricordi e la tua memoria perchè tu possa voltarti ogni volta che vuoi e compiacerti dei giorni che ti stai costruendo, del futuro che cresce e si avvicina. 
Non temere le sfide, i capitomboli a terra. Tu ti rialzi sempre, lo sai. 
Scrivi, scrivi tanto, torna a farlo. 
Nutriti di sentimenti benevoli Claudia, ed abbi pietà di te stessa.
Abbandona la perfezione, sii fragile, conceditelo, concediti una serenità duratura. 



La vostra Claudia di fine 2017